Per far funzionare il settore fieristico servono fiere di progetti e non di prodotto

Paolo Beltrami

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In questa fase particolare per il settore fieristico vorrei rispondere, anche in modo provocatorio, a questa domanda: cosa offrono le fiere che funzionano? Solitamente facce nuove ma soprattutto nuove progettualità. Alle fiere che funzionano si incontrano persone che hanno progetti che non saprei dove e come intercettare altrimenti. I progetti sono nella testa della gente e si rinnovano continuamente. Questo è il nuovo mercato.
Credo che gli organizzatori di fiere dovrebbero cominciare ad allontanarsi dalle fiere di prodotto fino a smettere di intraprendere questo percorso. Gli Alibaba del mondo stanno portando via ogni spazio alla vendita di prodotto. Servono le fiere di progetti con il supporto di servizi innovativi e modulari.
Qual’è oggi la sfida per il sistema Italia? Riuscire a parlare con il mondo di progetti. In questo non siamo bravi. L’Italia, ed il settore ortofrutticolo in particolare, hanno sempre ragionato in termini di prodotto. In quello siamo bravi ma quando occorre spiegarsi in termini di strategia e di progetti scopriamo di essere culturalmente dei grandi tattici: attendisti, pronti ad approfittare dell’occasione ma poco capaci di tracciare una linea, di spiegarla, di seguirla e farci seguire.
Allora questo cosa vuol dire in termini fieristici e soprattutto di evento digitale, come quello che propone quest’anno Macfrut? Creare una griglia dell’offerta per prodotti è facile, forse banale. Allora come si fa il catalogo di una fiera digitale? A quali categorie si può ascrivere ad esempio un’espansione produttiva, il lancio di una nuova varietà o la conversione di un intero polo produttivo al biologico?
Il digitale è abituato ad usare la semantica innanzitutto. Le famose keywords sono il modo con cui descriviamo le nostre attività ma facciamo anche in modo che chi sta dall’altra parte sia capace di trovarle. Come facciamo ad integrare in un progetto produttivo tutte le specifiche dei servizi accessori? Di nuovo mettendo altre keyword per creare parole che perimetrano idee, attività, obiettivi e valori. Certo, non è facile adattarsi a un mondo dominato dalle strutture anglosassoni che pensano e scrivono in modo diverso dalla visione latina del mondo che ci appartiene. La lingua, le logiche di pensiero dei partners di progetto, la capacità di presentare un progetto sui canali multimediali, le infografiche, il design delle interfacce per gli utenti delle piattaforme digitali. Sono concetti che appartengono al modo di lavorare nel digitale né più né meno come fare gasolio al trattore appartiene al mondo tradizionale.
In questo campo il settore dell’ortofrutta in Italia e le fiere che lo rappresentano hanno poche esperienze da spendere. Le università tecniche del resto sono lontane anni luce da questa visione anche se, al loro interno, le logiche di project management si stanno facendo strada. I poli digitali ci sono ma faticano a trovare una mediazione culturale con un mondo, quello della produzione e dei servizi accessori, che usa ancora argomenti legati al sistema metrico decimale. Un metro, un quintale, una tonnellata, un pallet contro un follower, un analitics o un pitch dal wow effect.
Macfrut dimostra un coraggio che va premiato perché getta il cuore oltre l’ostacolo quando sarebbe tatticamente meglio nascondersi dietro un “vediamo come va a finire”. Va oltre il visionario. Diventa pragmatica. Alea iacta est: ci sono momenti in cui si deve rischiare. Dieci anni fa presentai un concept di fiera digitale ad un importante organizzatore di eventi in Italia. Al di là dei mezzi che prevedeva (la tecnologia negli ultimi 10 anni ha creato cose che al tempo si potevano solo fantasticare) proponeva una cosa innovativa che dovrebbe funzionare anche per Macfrut: non limitare la fiera a tre giorni ma cominciare a pensare ad un servizio strutturale da 365 giorni all’anno h24 in cui l’ambiente digitale è il nuovo padiglione. Le fiere hanno un portafoglio di know how che vale molto più dell’affitto di alcune migliaia di mq per tre giorni. Esso va venduto 365 giorni l’anno con un ampliamento della gamma di servizi a partire da quelli di internazionalizzazione specializzati per il settore che le fiere stesse presidiano.
In questo le fiere italiane, insieme alle aziende italiane, possono rilanciarsi davvero. Diventare holding di servizi specialistici quali appunto l’informatica applicata (c’è uno spazio enorme per la realtà aumentata al posto dei tradizionali stand), i servizi di logistica specialistica, il sistema delle lingue e delle traduzioni, ma soprattutto la conoscenza delle dinamiche specifiche di settore. Promuovere marmo non è come promuovere frutta. Automotive e sanità hanno idiomi e culture molto diverse tra loro. Serve specializzazione proprio perché non si tratta di piattaforme di prodotto ma di piattaforme di progetti. Per fare questo servono piani a lunga visione, capacità aggregativa, massa critica. Tre fiere per lo stesso settore in Italia spesso in contemporanea presto diventeranno motivo di un sorriso come lo sono le battute di Alberto Sordi nei panni del giovane scapestrato che sognava l’America.
Macfrut sta affrontando, magari gradualmente, un passaggio rivoluzionario: abbandonare i padiglioni fisici per diventare gestore di “servers” e “services”. Andrebbe dunque ripensato completamente il pricing dei servizi ma soprattutto, andrebbe evitato l’errore di investire per un unico evento invece di investire per diventare fornitore di servizi tutto l’anno secondo una visione e con un respiro inimmaginabile fino a poco tempo fa.
Certamente ci sarà sempre il tempo, per alcuni mesi negato, anche per gli eventi sociali: quelli a cui si va magari non tanto perché sono utili, non perché ci si vendono i meloni, ma perché sono eleganti, raffinati, stimolanti. A quelli la gente di tutto il mondo parteciperà ancora volentieri e se non avrà tempo, se li guarderà via youtube o in streaming su qualche canale tematico. Anche questo farà promozione ma il vero business prenderà sempre più rapidamente la strada che ho appena evidenziato.
Dieci anni fa, proponendo l’allargamento al digitale delle fiere di settore mi dissero che era troppo presto e che il business tradizionale andava ancora bene: difficile essere profeta in una patria di tattici.
Paolo Beltrami
Agronomo, specialista per l’innovazione

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