Mele e fitofarmaci. Melinda: impossibile produzione bio al 50%

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Si riaccende la polemica in Val di Non tra gli ambientalisti del Comitato Difesa della Salute e il consorzio di melicoltori portabandiera della produzione di mele in Valle, Melinda. La questione è sempre la stessa e ruota attorno all’uso di fitofarmaci da parte dei contadini. Un tema annoso e complicato, riportato alla ribalta dalla trasmissione “Mi manda Rai Tre” di sabato 24 ottobre.

La produzione di mele bio non arriverà mai al 50%. E questo vale per tutta l’ortofrutta: da noi, in Italia e all’estero”, aveva commentato lapidario sulle pagine di un giornale locale, nei giorni precedenti alla messa in onda della trasmissione televisiva, il direttore di Melinda Paolo Gerevini.

Una frase offensiva per il Comitato Difesa della Salute, che ha mal gradito anche le specifiche del direttore secondo cui l’attenzione al territorio e alla diversificazione varietale da parte di Melinda sono massime e che nei pressi di scuole, asili e luoghi sensibili vengono coltivate in generale varietà più resistenti. Affermazioni interpretate come un mero uso inferiore di fitofarmaci.

Per quanto riguarda la produzione biologica il piano del 2017 di Melinda prevede ad oggi 310 ettari che, una volta a regime, arriveranno a 350 su 6.700 ettari totali destinati alla produzione di mele del consorzio.

“Il quadro pesticidi in Trentino non è affatto roseo. In questo 2020 abbiamo contato 37 trattamenti con fitofarmaci in Val di Non. Si parla di 70 kg di pesticidi per ettaro. Calcolando che parliamo di 7.000 ettari di terreno agricolo siamo di fronte a una cifra enorme: circa 500 tonnellate di pesticidi sui meleti”, ha commentato il Comitato Difesa della Salute della Val di Non.

Il comitato – che da anni si batte per la conversione al bio delle produzioni in Valle – non accetta l’analisi commerciale fatta dal direttore Gerevini secondo cui la quota di bio di Melinda si attesta ad oggi al 4-5% del mercato; “in Scandinavia siamo al 15% – aggiunge – ma non aspettiamoci che arrivi al 50%. Non accadrà mai”.

“Come si fa ad affermare certe cose? Come si può dire come sarà il futuro con quella sicurezza? In Svizzera ci sono zone, come la Val Poschiavo, dove il 100% della produzione è biologica”, hanno replicato increduli gli ambientalisti che aggiungono: “Ricordiamo lo studio del professor Angeli della Libera Università di Bolzano, che vede i pesticidi come la causa della morìa di api che si è registrata in Val di Sole. Lo spot pubblicitario di Melinda inizia proprio facendo vedere le api, impostando tutto sul rispetto ambientale e sulla qualità: una presa in giro per i consumatori e per quelli che, come noi, risiedono qui sul territorio”.

La situazione è un po’ migliorata dal 20 aprile 2020 in seguito alla messa al bando del Clorpiriphos sebbene, come sottolineato dal comitato, la misura sia introdotta solo grazie alla nuova normativa dell’Unione Europea. “Non ci sfugge il fatto che fino all’ultimo momento utile, da indicazioni dall’alto, questa sostanza è stata utilizzata”.

Visione opposte e difficili far da conciliare: da una parte c’è chi promuove un’agricoltura libera da pesticidi dall’altra chi invece sostiene che quella attuale è la “migliore agricoltura possibile”.

I componenti del Comitato Difesa della Salute non smettono tuttavia di combattere e ribadiscono: “Al 50% di bio ci si può arrivare eccome. C’è molta strada da fare. La produzione bio in Trentino è ferma al 4,1%. Siamo ultimi in Italia per superficie ma primi per consumo di pesticidi. Ma cambiare si può. Basta volerlo”. (c.b.)

 

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