La pandemia Covid-19 dalle origini a Wuhan al terribile impatto sulla sanità italiana

SOARDI

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Il nome ufficiale del virus di questa epidemia è SARS-CoV-2, che significa: sindrome respiratoria acuta grave, da Coronavirus, cioè virus di aspetto coronato, di tipo 2, per distinguerlo dal primo tipo SARS-CoV, che ha causato l’epidemia del 2002. I Coronavirus del gruppo alfa causano il raffreddore e influenze stagionali, mentre quelli del gruppo beta, come quello attuale, epidemie. Il nuovo Coronavirus non è il primo né sarà sicuramente l’ultimo di una lunga serie di mutazioni dei Coronavirus in grado di causare epidemie. Il nome ufficiale della malattia causata dal virus SARS-CoV-2 è Covid-19, dove ‘d’ significa ‘disease’ (malattia) e 19 è il 2019, l’anno di comparsa.
Questa è la sua storia dalla comparsa fino alla fine di marzo.

UNA STORIA CHE SI RIPETE

La storia umana ricorda molte terribili malattie, spesso epidemiche, chiamate pestilenze o “peste”, termine anticamente utilizzato più volte per indicare genericamente una “sventura”, una “rovina”, ma non necessariamente quelle causate solo dalla Yersinia Pestis, il batterio specifico; per questo motivo non sarebbe sbagliato usarlo anche in occasione della pandemia virale attuale.

La prima peste documentata storicamente fu quella descritta da Tucidide, nella città di Atene nel 430 a.C., ma in realtà fu un’epidemia di vaiolo.

La prima peste propriamente detta fu quella di Giustiniano del 541 d.C. a Costantinopoli; uccise il 40% della popolazione della capitale, ma continuò a diffondersi nell’area mediterranea per 200 anni, causando dai 50 ai 100 milioni di vittime, considerata per questo la prima pandemia della storia.

La pandemia più celebre e devastante fu la peste nera che dilagò intorno alla metà del XIV secolo, originaria dal nord della Cina; in 16 anni invase tutta l’Europa, facendo 10 milioni di vittime, un terzo della popolazione di allora.
Ambedue queste epidemie furono caratterizzare, come quelle dovute ai Coronavirus influenzali, da ricadute cicliche periodiche per molti anni.

Notevoli epidemie si registrarono nel 15761630 in Lombardia (la seconda è narrata nei Promessi Sposi del Manzoni), a Siviglia 1647, in Turchia nel 1661, ad Amsterdam nel 1664 dove uccise 35.000 persone, a Londra nel 1665-6 che fece 80.000 vittime, più di un quinto della città, a Marsiglia nel 1720 dove sterminò metà della popolazione della città.

Una terza pandemia di peste ebbe inizio intorno al 1855 nella provincia cinese dello Yunnan per poi diffondersi globalmente fino alla fine del secolo, per la quale morirono 12,5 milioni di indiani; la Y. Pestis, il batterio responsabile, fu identificato ad Hong Kong nel 1894, dimostrando che si poteva trasmettere attraverso il morso di pulci che si erano infettate dai roditori. Nonostante la sua attività più che millenaria il batterio non è stato ancora debellato e rimane una minaccia per molte popolazioni del mondo, in particolare quelle residenti in Africa.

PANDEMIE / EPIDEMIE RECENTI

1918: pandemia da Influenzavirus A H1N1. Una variante di questa famiglia di virus fu la causa della influenza “Spagnola” che tra il 1918 e il 1919 infettò 500 milioni di persone in tutto il mondo e ne uccise dai 50 ai 100 milioni, oltre 500 mila in Italia.

2002/3: epidemia SARS-CoV, da Coronavirus trasmesso dagli zibetti. Il primo caso di SARS è avvenuto nel novembre 2002 a Shunde, Foshan, nella regione del Guangdong della Cina in un allevatore. Ha causato 8.096 casi in 26 nazioni con 774 decessi, 349 in Cina continentale, 299 ad Hong Kong, 73 a Taiwan e 4 in Italia; tasso di letalità 10%.

2003: influenza aviaria A H7N9, nota anche come peste aviaria, molto contagiosa e diffusiva, nota dal 1878, dovuta a un virus influenzale di ceppo A trasmesso da specie di uccelli selvatici e domestici, con sintomi che possono essere lievi (virus a bassa patogenicità), oppure gravi e sistemici con interessamento degli apparati respiratorio, digerente e nervoso e alta mortalità (virus ad alta patogenicità). Il virus può trasmettersi agli umani, come è stato dimostrato a partire dal 1997.

2009: pandemia “suina”, un altro sottotipo A H1N1, è trasmesso da alcuni allevamenti di maiali; i contagi stimati in Italia sono stati 1.521.000 e la percentuale dei decessi in Italia è stata dello 0,029 per mille, contro il 2 per mille della normale influenza.

2012: epidemia MERS-CoV, sindrome respiratoria medio-orientale da Coronavirus, relativamente poco contagiosa, trasmessa dai dromedari. Il primo contagiato fu un uomo d’affari saudita a Jedda. Alcuni casi sono stati segnalati in Inghilterra e Francia, casi questi che tuttavia erano collegati direttamente o indirettamente con la penisola araba. Durante il mese Hajj ogni anno confluisce nella città santa della Mecca un gigantesco pellegrinaggio, che dura un mese tra luglio e agosto, con fedeli provenienti da tutto il mondo. Nel 2013 i pellegrini sono stati 3,1 milioni. Si sospetta che questo enorme raduno di persone abbia in qualche modo contribuito a riaccendere annualmente focolai di infezione e spiegherebbe la singolarità topografica dell’area di diffusione del contagio. Non si conoscono ancora in dettaglio le modalità di trasmissione della malattia e il suo periodo di incubazione. Fino a novembre 2019 si sono osservati 2.494 casi con 858 decessi, tasso di letalità 34%.

1976, fino ad oggi: virus Ebola iniziato nello Zaire (ex Congo Belga), dove un’epidemia è tuttora in corso, trasmesso da pipistrello, emergenza continua dell’OMS, tasso letalità 50%; per fortuna non è trasmissibile per via respiratoria, altrimenti con quel tasso di mortalità avrebbe causato una pandemia spaventosa.

LA PREVENZIONE. “SI VIS PACEM, PARA BELLUM” (Vegezio, scrittore romano)

Dopo la SARS e l’influenza aviaria nel 2003 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha raccomandato a tutti i Paesi del mondo di mettere a punto un piano di prevenzione e risposta alle pandemie e di tenerlo aggiornato costantemente. In occasione della epidemia di virus H1N1 del 2009 si capì la necessità di adottare mascherine col filtro, molto più efficaci di quelle chirurgiche per le epidemie virali.

Il Piano Nazionale italiano contro le Pandemie del 2010 prevedeva la tutela di categorie particolarmente strategiche o vulnerabili, lo stoccaggio di scorte di materiale sanitario ed in particolare “dispositivi di protezione, scorte nazionali di farmaci antivirali e kit diagnostici da distribuire al più presto al bisogno nelle zone colpite”.
Il Parlamento Europeo nel 2013 ha raccomandato agli stati membri di completare il progetto ed aggiornarlo ogni 3 anni. Questi piani esistono e funzionano bene in Italia per i feriti in caso di guerre, terremoti o alluvioni, ma non esistono per le epidemie. In particolare mancano completamente le istruzioni organizzative logistiche con i dettagli operativi (chi fa cosa) ed i Piani di Contingenza, che prevedono vari scenari e le modalità di affrontarli, permettendo di affrontare tempestivamente una catastrofe sanitaria come l’attuale.

Un recentissimo studio globale GSH Index (Global Health-Security Index) sulle capacità dei vari stati mondiali di rispondere a emergenze sanitarie ci ha bocciati nei settori Prevenzione e Velocità della risposta, classificandoci al 31.mo posto su 195.

Non solamente in Italia ma nel mondo intero non ci sono scorte sufficienti di mascherine per una emergenza sanitaria di tale portata. In gennaio di quest’anno Francia e Cina fecero una grande scorta di mascherine con filtro di ottima qualità di produzione italiana ad un prezzo molto più basso di quanto stiamo pagando oggi mascherine di qualità mediocre, ora che ci siamo accorti di esserne sprovvisti. Anche per questa strategia noi italiani siamo stati molto meno reattivi di Taiwan, Corea del Sud, Francia e Cina.

Dopo la SARS-CoV del 2002 e in concomitanza con la MERS-CoV nel 2012, il governo tedesco incaricò il Robert Koch Institut ed esperti del Ministero della Sanità di produrre una simulazione accademica sull’eventuale diffusione di una possibile devastante pandemia in Germania. Il risultato fu un’analisi di rischio estremo molto dettagliata, comprensiva delle misure che sarebbero state necessarie per proteggere la popolazione e cercare di arginare la diffusione del contagio; la simulazione ha anticipato in modo impressionante l’origine e lo scenario successivo della diffusione del Covid-19, con l’unico errore di una eccessiva sovrastima dei decessi. La simulazione era ottima anche nel prevedere le misure da intraprendere, previsioni che si sono puntualmente realizzate. Purtroppo è rimasta dimenticata in un cassetto del Bundestag fino a quando è stato scovata di recente da Kristina Dunz, giornalista della Rheinische Post.

Simon Cauchemez e altri ricercatori dell’Imperial College di Londra pubblicano nel maggio 2013 un articolo dal titolo “Scenari di trasmissione per il MERS-CoV e come distinguerli”. Gli autori dell’articolo sostengono che si possono prevedere tre possibili scenari di gravità crescente di diffusione di malattia per un virus zoonotico. Questi scenari comportano differenti valutazioni e misure di controllo per i rischi di diffusione.

SPILLOVER, L’INIZIO DELL’APOCALISSE

Spillover è il termine che indica il salto di specie tipico delle zoonosi, cioè le malattie infettive che possono essere trasmesse dagli animali all’uomo (o viceversa), direttamente per contatto con la pelle, peli, uova, sangue o secrezioni, o indirettamente tramite altri organismi vettori o ingestione di alimenti infetti; è importante individuare gli animali-serbatoi in cui i virus vivono, per modificare le abitudini umane che facilitano che tali trasmissioni si ripetano.

“Gli scienziati sapevano perfettamente dalla SARS che i Coronavirus possono essere molto pericolosi; i dirigenti della Sanità Pubblica dei vari Paesi sapevano cosa serviva fare per difendersi. Chi non sapeva cosa fare ed era assolutamente impreparato? I politici dei governi!” riferisce in un’intervista David Quammen, giornalista e reporter del National Geographic, autore di “Spillover” (ed. Adelphi, 2012 e  2014).

Massimo Cicozzi, epidemiologo del Campus Biomedico laziale ed una sua collega del Politecnico di Zurigo hanno identificato in modo indipendente con pochi giorni di differenza il momento dello spillover, a cui corrisponde il primo contagio umano, tra l’inizio ed il giorno 17 del mese di novembre 2019. Oggi sono tutti concordi nel localizzarlo nella zona del marcato degli animali esotici commestibili del mercato di Wuhan, metropoli di 11 milioni di abitanti della provincia di Hubei.

I PRIMI CONTAGI IN CINA

31 dicembre 2019. Mentre tutto il mondo pensa giustamente ai festeggiamenti per il Capodanno, la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan segnala alla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) alcuni casi a grappolo di polmonite di natura ignota, in individui che hanno la peculiarità epidemiologica comune di frequentare il mercato all’ingrosso di frutti di mare ed animali vivi della Huanan Seafood della città.

Il primo medico cinese che ha sospettato qualcosa di inusuale già dalla fine di dicembre, che fa le prime segnalazioni al suo governo e che cura i primi pazienti viene minacciato di procurato allarme; morirà dopo qualche settimana per essersi contagiato cercando di salvare i primi pazienti.

Vale la pena di ricordare le prime notizie ufficiali cinesi nel mese di gennaio con i dettagli poco noti di quello che è successo per capire quanto pesanti siano state le misure intraprese immediatamente dalla Cina ed in alcuni Paesi vicini. Particolarmente in Cina il governo non democratico ha permesso una istantanea sospensione dei diritti civili e della libertà di circolazione, con instaurazione della legge marziale, bloccando con l’esercito in modo spietato i confini delle zone di quarantena.

11 gennaio 2020. Potremmo chiamare il 2020 l’anno cinese del Coronavirus, dopo quelli della Tigre e del Dragone, ed immaginare il suo inizio in questo giorno per la prima vittima cinese di 50 anni a Wuhan, correttamente attribuita al virus, isolato per la prima volta nei laboratori cinesi in quei giorni.

23 gennaio. Wuhan viene messa i quarantena; i dati ufficiali cinesi parlavano di 600 casi contagiati ma secondo i calcoli degli epidemiologi i contagiati probabilmente erano già tra 2.000 e 20 mila.

27 gennaio. In 10 Paesi esterni alla Cina sono già stati osservati una quarantina di contagi. In Vietnam si è osservato il primo contagio di una persona che non è stata in Cina.

27 gennaio ore 14:31. La sezione LIVE/esteri dell’agenzia di stampa AGI pubblica una notizia ufficiale delle autorità governative cinesi dal titolo inquietante: Il coronavirus è già contagioso ”prima che si manifestino i sintomi”. La Cina dichiara che “il virus è più contagioso, anche se meno potente della SARS”; si capisce tra le righe che il Paese ha comunque difficoltà a contenere il contagio: ha già ucciso 56 persone in Cina. Il Ministro della Sanità cinese Ma Xiao Wei dichiara che il periodo di incubazione varia da 1 a 14 giorni, per cui vi sono dei “portatori nascosti” del virus. Il sindaco di Wuhan in base ai pazienti ricoverati (il test non è ancora disponibile) prevede 1.000 contagi. La città ha chiuso tutto, eccetto qualche supermercato, con pochi prodotti; sospesi tutti i trasporti pubblici, vietato usare le automobili private. Le persone sono confinate nei grandi casermoni della città con i cancelli sorvegliati dalla polizia (vedi su raiplay.it il video di Report del 30 marzo su “Il Paziente 0”). Scarseggiano mascherine e alcool. Il resto del Paese ha già isolato 56 milioni di persone (equivalenti a tutta la popolazione italiana) e 36 grandi province hanno dichiarato lo stato massimo di allerta; tre province hanno ordinato a tutti i cittadini l’obbligo di indossare le mascherine in pubblico. Pechino ha dapprima sospeso temporaneamente, ma poi subito dopo vietato permanentemente, la vendita di animali selvatici vivi nei mercati, supermercati, ristoranti ed e-commerce, confermando tacitamente che ne conosceva la pericolosità; la capitale ha già 50 contagiati. Tutte le stazioni della metro e ferroviarie, i treni e gli autobus vengono sterilizzati tre volte al giorno. Le stesse misure vengono adottate nelle 12 città principali della provincia di Hubei. Quelli che sono usciti dalle zone a rischio nelle due settimane precedenti alla quarantena vengono ricercati sistematicamente dalla Polizia al servizio della Commissione Sanitaria Nazionale per essere messi in quarantena in una struttura ospedaliera, sotto legge marziale. Shanghai ha appena avuto il suo primo decesso ed ha chiuso Disneyland.

28 gennaio. Pechino dà la notizia del primo decesso nella capitale di un uomo di 50 anni che era stato a Wuhan l’8 gennaio, dove era rimasto una settimana. Nell’Hubei ci sono già 1500 contagiati. A Wuhan si sta costruendo nel tempo record di 10 giorni (nemmeno lontanamente immaginabile per la nostra sanità pubblica) un ospedale dedicato da 1.000 posti letto. Nello stesso giorno in Cina si contano 4.000 casi accertati e 106 decessi. L’OMS corregge nel sesto dei suoi rapporti lo stato di allerta da rischio globale “moderato” a “alto”. Nonostante questo, incomprensibilmente non viene ancora dichiarata ufficialmente la classificazione di ”urgenza di sanità pubblica di portata internazionale”, data in passato alle epidemie H1N1, Zika, Ebola.

29 gennaio. Dalla Cina arriva un allarme: i contagi del Covid-19 hanno superato quelli della SARS. La Toyota interrompe la produzione di auto e chiude la fabbrica. La compagnia British Airways sospende i collegamenti aerei con la Cina. Starbucks chiude metà dei suoi punti vendita. Molti governi, tra cui quello italiano, studiano piani di evacuazione dei connazionali rimasti bloccati nelle zone isolate. La Francia ne ha 500, nelle due fabbriche automobilistiche di Wuhan con 2000 impiegati, gli Stati Uniti più di 1.000.

I CASI DI TAIWAN E COREA DEL SUD

Per lasciare più spazio alla situazione italiana parlerò per sommi capi della grande mole di notizie raccolte sulla diffusione del virus in Asia e le misure adottate dai singoli Paesi. Ma devo ricordare, per l’interesse del caso, almeno quanto è stata fatto a Taiwan e nella Corea del Sud.

Taiwan il Comando Centrale per l’epidemia si è immediatamente occupato, dopo i primissimi casi di contagio a gennaio, del rifornimento di materiale sanitario per gli ospedali, garantendo la disponibilità di 1.110 camere di isolamento e due milioni di maschere chirurgiche N95, e altri strumenti di prevenzione, con 44 milioni di maschere chirurgiche. Ha interrotto immediatamente l’esportazione di mascherine di protezione per il viso, iniziando la distribuzione delle stesse, di termometri e liquido igienizzante in tutte le scuole a milioni di studenti, docenti e personale. Il governo di Taipei ha imposto un prezzo fisso di 0,17 dollari a mascherina. L’isola asiatica, forte dell’esperienza della Sars nel 2003, che aveva messo in ginocchio la sua economia, con oltre ai 73 morti conclamati, ha aeroporti attrezzati con monitor che verificano la presenza di febbre nei passeggeri; impone a distanza la quarantena a chi nei 14 giorni precedenti ha viaggiato in zone a rischio e con situazioni patologiche pregresse; il controllo del rispetto della quarantena avviene attraverso verifica delle celle telefoniche dei soggetti a rischio; sono ripetuti i tamponi-test anche sui cittadini già risultati negativi; sono  controllate tutte le persone venute a contatto con i contagiati.
In caso di positività al virus o comunque dell’obbligo di rimanere in quarantena per 14 giorni, l’assicurazione sanitaria taiwanese garantisce al 99% della popolazione, oltre che di poter effettuare gratis il test, il diritto al sostegno finanziario per far fronte alle spese dell’abitazione, della spesa alimentare e delle cure mediche.
Tutte le emittenti televisive e radiofoniche hanno trasmesso a cadenza oraria le informazioni sui comportamenti adeguati da tenere per evitare la diffusione del virus, senza toni allarmistici, preservando le libertà e al contempo responsabilizzando cittadini, aziende e istituti scolastici. Nessun blocco di attività. Taiwan ha mantenuto aperte tutte le principali attività lavorative e educative in cambio di un controllo personale giornaliero del proprio stato di salute e del rispetto delle misure di prevenzione, in base a linee guida studiate appositamente. In particolare: il 95% dei genitori misura a casa la febbre ai propri figli e comunica il risultato all’istituto scolastico prima di uscire; all’ingresso di edifici pubblici e privati sono stati predisposti monitoraggi della temperatura corporea; i condomini hanno installato dispenser di liquido igienizzante all’entrata; la quasi totalità della popolazione usa le mascherine in quanto non ne è mai mancato l’approvvigionamento nelle farmacie e per tutte le scuole la consegna è stata effettuata dal governo.
Taiwan ha dato dimostrazione di come si può gestire efficacemente una pandemia, attraverso prevenzione e monitoraggio costante per isolare i soggetti contagiosi, risultando al momento la migliore, pur essendo esclusa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità in quanto stato ufficialmente non riconosciuto (per il veto cinese) e senza dover ricorrere a nessun tipo di restrizioni delle libertà civili. Fino al 28 marzo a Taiwan sono stati registrati solo 283 contagiati e 2 soli decessi.

Quello della Corea del Sud è un altro caso molto particolare, perché ha duplicato la strategia vincente di Taiwan a distanza di pochissimi giorni. Il contagio in Corea è stato ancora più asimmetrico che in Italia perché il 74% si è concentrato nella città di Daegu nel sud del Paese dove a metà febbraio vi è stata un’enorme manifestazione di migliaia di adepti della setta religiosa Shincheonji, che manifestavano e pregavano per scongiurare il contagio, ottenendo invece l’effetto opposto diffondendolo tra loro.
Immediatamente, dopo i primi test positivi, l’organizzazione sanitaria coreana ha identificato le celle telefoniche di agganciamento dei cellulari Samsung dei contagiati e le sedi di uso dei bancomat, producendo in tempo quasi reale una mappa dove questi dati erano riportati come sfere del diametro proporzionale alla numerosità dei rilievi. La  popolazione riceveva subito gli aggiornamenti sull’apposita “App Corona 100 mt” obbligatoria, così ognuno poteva vedere in tempo reale se un contagiato si stava avvicinando entro 100 metri di distanza ed evitava di passargli vicino. La Corea, con questo sistema avanzato, ha chiuso in quarantena solo poche aree a macchia di leopardo circoscrivendo comunque il contagio e causando un minor impatto sull’economia ed il commercio. Sono state installate subito in molti parcheggi di quartiere aree di istallazioni mobili denominate test thru (drive-in per tamponi test Covid-19) dove venivano convocati gli abitanti che avevano prenotato un appuntamento telefonicamente per farsi fare entro 10 minuti, senza scendere dall’auto, il tampone test dal personale sanitario. Con questo sistema sono stati eseguiti fino a 17 mila test al giorno. Fino all’8 marzo sono stati fatti in Corea del Sud oltre 189.236 tamponi, 3.700 per milione di abitanti, di cui 162 mila negativi, 7300 positivi e gli altri in corso di esame. Nella capitale Seul non vi è uno stato di allerta, la maggior parte delle attività commerciali operano normalmente con gli stessi orari lavorativi attuati in precedenza. I cittadini di Seul hanno immediatamente attuato le misure precauzionali dettate dai medici. All’entrata di ogni ristorante, cinema, autobus, metropolitana insomma ovunque è fornito disinfettante per le mani a uso gratuito. Cinema, musei, ristoranti sono aperti; alcuni grandi centri commerciali hanno deciso di chiudere per alcune settimane. Anche nelle zone ad alto contagio come la città di Daegu, le attività commerciali operano regolarmente, ma a differenza della capitale, la popolazione evita luoghi pubblici preferendo le proprie abitazioni. Le Università e le scuole sono viste come potenziali focolai di contagio: fino alla fine di marzo le lezioni sono state offerte esclusivamente online. La strategia dichiarata è progressivamente passata (dal 3 marzo) dal “contenimento” alla “mitigazione”, intervenuta direttamente sulla gestione diretta delle persone contagiate, trattate in modo differente a seconda della gravità dei sintomi. Tutto questo fa della Corea del Sud un caso modello molto interessante da studiare.

ALLE ORIGINI DELLA GRAVITÀ DEL CASO ITALIA

17 novembre 2019 – 30 gennaio 2020. Questo periodo inizia con la data presunta dello spillover e termina con la data nella quale il Ministro della Salute Speranza ha deciso di bloccare i voli arrivati dalla Cina, i passeggeri provenienti dalla Cina sbarcati all’aeroporto di Fiumicino sono stati 203 mila, dei quali 15.400 da Wuhan, e quelli transitati da e per la Cina a Milano Malpensa sono stati altri 125 mila. Questi numeri non includono i cinesi arrivati in Italia provenienti da scali intermedi.

30 dicembre 2019A Piacenza si segnalano oltre 40 casi di polmonite particolarmente impegnative che richiedono il ricovero nell’ultima settimana dell’anno. Ai primi di gennaio a Milano, Ospedale Niguarda, vengono curati fino a 350 pazienti al giorno invece degli usuali 280.

7 gennaio 2020. A Milano c’è un picco di casi di polmonite e vengono attivati posti-letto. All’Ospedale San Paolo si osservano 250/280 pazienti al giorno con polmoniti o influenze invece che i soliti 200 degli inverni precedenti.

Metà gennaio. Secondo alcuni epidemiologi esperti dovrebbe essere questo il periodo dell’arrivo in Italia del primo individuo contagiato, completamente sconosciuto, completamente asintomatico e perciò poco infettante. Questa ipotesi è confermata pubblicamente a marzo da fonte ufficiale.

26 gennaio. Ultimi giorni dell’éra italiana ante-Coronavirus. I media stanno discutendo ferocemente ed ininterrottamente di Brexit, di Friday for Future, di guerra in Libia, di elezioni in Emilia-Romagna, di New Green Deal europeo e del movimento delle Sardine. Solo i virologi ed i medici di malattie infettive sanno cosa sia un Coronavirus.

27 gennaio ore 14:31. Come segnalato in precedenza questo è il giorno della notizia (agi.it) delle autorità governative cinesi che il coronavirus è già contagioso “prima che si manifestino i sintomi”.

28 gennaio. Mentre in Cina sono 4000 i casi accertati e 106 i decessi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità corregge nel sesto dei suoi rapporti lo stato di allerta, da rischio globale “moderato” a “alto”. Nonostante questo, incomprensibilmente, non viene ancora dichiarata ufficialmente la classificazione di ”urgenza di sanità pubblica di portata internazionale”, data in passato alle epidemie H1N1, Zika, Ebola. Questa è stata una importante criticità perché la mancanza di questa classificazione ha in alcuni casi ritardato misure più severe e utilizzo di tamponi che in seguito si sono rivelati molto utili. In questa stessa data a Taiwan era già trascorso un mese dalla adozione dei primi controlli agli aeroporti e le prime misure di sorveglianza e quarantena.

29 gennaio. Nella zona di quarantena cinese sono rimasti bloccati 60 italiani, sono proprio a Wuhan. Le raccomandazioni del Ministero della Sanità italiano di quei giorni sono: sono ammessi viaggi in Cina, con la raccomandazione (non l’ordine tassativo!!) di evitare il contatto ravvicinato, quando possibile (sic!), con persone che mostrino sintomi respiratori come tosse e starnuti. Sono cancellati tutti i voli provenienti da Wuhan. Si informa che il volume di viaggi da e per la Cina in occasione del Capodanno cinese di fine gennaio possono aumentare le probabilità di contagio. Su tutti i passeggeri dei voli in arrivo dalla Cina vengono fatti controlli che consistono nella misurazione della temperatura e la raccolta delle informazioni sul viaggio effettuato. N.B.: Non è prevista la quarantena; chi proviene dalla Cina può liberamente atterrare in un aeroporto italiano purché faccia uno scalo intermedio, uno qualunque. Il nostro governo e il Ministero della Sanità non hanno ancora ben realizzato la portata della notizia cinese a sorpresa di due giorni prima, che il Covid-19 a differenza della SARS, è infettivo prima di essere sintomatico: questo significa che le telecamere termografiche installate negli aeroporti per identificare i pazienti febbrili, sono incapaci di fermare i pazienti contagiati ed infettanti anche se asintomatici.
Col senno di poi queste misure si dimostreranno clamorosamente inadeguate perché otterranno solo un effetto molto parziale sul contenimento dei contagi nelle zone rosse in quarantena. Questo è un fattore, a mio giudizio, più importante dell’età media particolarmente avanzata della popolazione italiana per spiegare la sproporzione dei decessi italiani rispetto al resto del mondo, almeno fino alla situazione di fine marzo ed a questo parziale fallimento è attribuibile il fardello di alcune centinaia di decessi dovuti al dilagare dei contagi fino alla fine di marzo.

30 gennaio. Un’anziana coppia cinese in vacanza a Roma si sente male con i tipici sintomi respiratori da polmonite virale e dopo i primi accertamenti, i due risultano positivi al test per Covid-19. Sono i primi casi sul territorio italiano di contagiati dall’epidemia. La coppia ha la fortuna di essere gestita immediatamente dall’Ospedale Spallanzani, una delle due eccellenze nazionali, da cui usciranno guariti dopo alcune settimane. L’OMS cambiando bruscamente il suo atteggiamento inizialmente rassicurante dichiara (finalmente!) l’emergenza globale pandemica. Nel giro di poche settimane il contagio si diffonde molto velocemente al di fuori dei confini cinesi. Poco dopo il Covid-19 si merita la definizione di nemico numero 1 del pianeta.

20 febbraio. Il paziente positivo n.1 lombardo è Mattia di Codogno. Ma ancora prima o contemporaneamente a lui sono in circolazione molti altri contagiati. Risultano infatti positivi al tampone nei giorni immediatamente successivi un’infermiera dell’Ospedale di Piacenza, dove era stato riscontrato un numero anomalo di polmoniti, prima che a Codogno, che comunque dista solo pochi chilometri. Un medico di una clinica di Piacenza incomincia a stare male il 21 febbraio e poi risulta positivo al Covid19, perciò tenendo conto dell’incubazione si era infettato almeno una settimana prima. In questa fase tutti i pazienti sintomatici che non sono stati in Cina o non hanno frequentato cinesi non vengono considerati come sospetti contagiati. In questo stesso periodo i Coordinatori responsabili dei paramedici ospedalieri consigliano al loro personale sanitario di non mettere mascherine perché non previste dai protocolli in vigore per chi ha contatti con pazienti senza difficoltà respiratorie e per non creare panico, in un momento in cui approvvigionarsi di mascherine è già molto difficile, e seguendo le disposizioni regionali e nazionali del momento.  A Piacenza una volta fatti i tamponi non ci sono laboratori in grado di processarli velocemente. Ma si può stimare che circa un centinaio di persone, prevalentemente personale sanitario, si sia ammalato di Covid19 contemporaneamente al paziente 0.

8 marzo. Questi atteggiamenti e decisioni superficiali o completamente errate portano al drammatico sorpasso italiano nel numero dei contagiati nel confronti di tutti i Paesi extra-Cina, in particolare della Corea del Sud e dell’Iran e preludono al record della mortalità a livello mondiale raggiunto dal nostro paese nella seconda metà del mese.

CHE COSA SAPPIAMO DEL VIRUS  E DELLE SUE MODALITÀ DI DIFFUSIONE

Alcuni ceppi di Coronavirus causano solo banali raffreddori o influenze stagionali. In Italia sono attesi ogni anno tra 5 e 7 milioni di infezioni influenzali, ma ben distribuiti nell’arco di 150 giorni, che significa una occupazione massima di circa il 50% dei 4.000 letti di terapie intensive stimati nelle Rianimazioni italiane, con 5.000 o 8.000 decessi, quasi tutti anziani, con letalità dello 0,1%.

Una differenza fondamentale tra il SARS-CoV-2 e SARS-CoV è stata la causa di una grave sottostima iniziale dei contagi: il SARS-CoV non si trasmette prima della insorgenza dei sintomi, mentre abbiamo imparato a nostre spese che il SARS-CoV-2 lo fa; questo significa che le telecamere ad infrarossi installate nei nostri aeroporti dal 29 gennaio, che potevano essere efficaci in caso di SARS-CoV, non potevano identificare la grande maggioranza dei contagiati dal CoV-2, non ancora sintomatici ma già in grado di diffondere il contagio. Per non parlare di quelli che provenivano dalla Cina dopo scali intermedi. Mancandoci l’esperienza dovuta alla gestione di un importante contagio precedente in corso di SARS-CoV abbiamo dovuto improvvisare nuovi sistemi di contenimento che hanno dimostrato il loro fallimento quando è diventato evidente che contagi e decessi continuavano ad aumentare eccessivamente, per cui si è reso necessario costringere in casa tutta la popolazione italiana.

Su 100 persone malate di Covid-19 80 guariscono spontaneamente, 20 sviluppano disturbi respiratori più seri tra i quali il più importante è una polmonite ed hanno bisogno di ricovero ospedaliero e 5 di questi 20 devono essere ricoverati nelle UTI, le Unità di Terapia Intensiva delle Rianimazioni, per essere stabilizzati ed intubati. Anche questo lo abbiamo scoperto a nostre spese, non essendo stati capaci di intuirlo dalla velocità con cui in Cina si stavano preparando ospedali nuovi dedicati esclusivamente ai casi gravi di Covid-19. Non sarebbe stato un grosso problema se il virus non fosse così veloce a contagiare nuovi individui.

La malattia Covid-19 è molto contagiosa (le prime stime degli epidemiologi prevedono tra 60 e 75% della popolazione) anche se un po’ meno della SARS. Ogni individuo infetto di Covid-19 contagia in media da 2 a 3,5 persone mentre gli usuali Coronavirus influenzali in media 1,3 persone; inoltre si diffonde con una velocità almeno doppia dell’influenza, con un tasso di letalità in Italia stimato provvisoriamente dagli epidemiologi tra il 2 e il 3%. 
Covid-19 contagia una quota di giovani non trascurabile, più dell’influenza, e anche in questi può causare una polmonite interstiziale virale che necessita comunque anche se meno frequentemente degli anziani, di ricoveri in reparti di Rianimazione, condizione assai rara nelle complicanze batteriche sovrapposte all’influenza stagionale.

V’è un’altra grande differenza tra Covid-19 ed influenza stagionale. Gli anziani, che sono la popolazione più a rischio, sono quasi tutti vaccinati per le influenze più comuni, che passeranno quasi indenni. La velocità di diffusione del Covid-19 causa un picco dei contagi più precoce e più alto di tutte le altre epidemie finora note e in Italia avrebbe già superato in modo disastroso la disponibilità di letti nelle UTI delle Rianimazioni, se non si fosse ottenuta una efficientissima moltiplicazione di questi posti. Dobbiamo essere orgogliosi della nostra Protezione Civile ed in particolare degli Alpini che a Bergamo ed a Milano hanno montato in circa 60 ore due ospedali da campo tra i più grandi che esistano in Europa, negli stessi tempi record dei mega-ospedali dedicati al Covid-19 dai cinesi. Il Sud Italia sembra molto in ritardo con i preparativi ma per fortuna per ora ne ha poco bisogno.

CONTAGI E DECESSI

Il virus è potenzialmente letale per una porzione ridotta dei contagiati che però si ammalano seriamente ed hanno bisogno delle UTI delle Rianimazioni. Quindi l’obiettivo principale per la gestione dell’emergenza Covid-19 non è cercare a tutti i costi di non contagiarsi, come sembrerebbe ad una analisi superficiale, ma riuscire a diluire il contagio in modo che tutti quelli che ne abbiano la necessità trovino un posto-letto libero nelle UTI.

Il vaccino per il Covid-19 non esiste ancora, ma l’emergenza sanitaria si risolverà spontaneamente e velocemente solo quando per il Covid-19 sarà pronto un vaccino efficace ed allora diventerà come un’influenza leggermente più pesante della media, ma non più così letale. Resterà l’emergenza economica, non solo in Italia, forse per anni.

A fine marzo l’Italia ha il tristissimo desolante record mondiale dei decessi per Covid-19, più del triplo della Cina, che però è 15 volte più popolata di noi. Sulle cause di questa decimazione è opportuno riflettere profondamente. Sono convinto che questa differenza enorme tra i numeri dei decessi cinesi e quelli italiani rapportati alla numerosità di popolazione totale dipenda dal diverso uso dei tamponi e dal modo diverso di contare i casi. Il problema dei decessi italiani non può spiegarsi solo perché gli italiani sono il secondo popolo più longevo del mondo, perché i primi vecchi, cioè i giapponesi, sono andati enormemente meglio dei nostri.

Quasi ogni stato sovrano ha usato misure e tempistiche proprie, peculiari di misurazione dei contagi, delle modalità di selezione dei candidati ai tamponi-test e  delle misure di contenimento. Il numero complessivo degli individui contagiati, accertati dalla positività del test del tampone o del titolo anti-corpale, può essere utilizzato solo come stima del reale contagio solo per il momento del test e limitatamente alla tipologia del campione della popolazione sulla quale sono stati condotti i test.
Il numero dei deceduti parrebbe molto più indicativo dell’andamento della malattia, ma comprende quasi sempre solo i contagiati osservati in ambiente ospedaliero o registrati dalle istituzioni; è intuitivamente rappresentativo della gravità della pandemia se lo si rapporta al numero della popolazione esposta oppure in mancanza di questo alla popolazione di tutto uno Stato, ma non include i deceduti a casa propria, senza essere registrati dalle strutture sanitarie più organizzate, che può essere una quota molto importante in Paesi con assistenza sanitaria di basso livello.

Gli epidemiologi dovranno insegnarci se e come contare tra i contagiati della pandemia tenendo conto di due fattori:
1. i casi segnalati da tante strutture sanitarie della Lombardia come “polmoniti particolarmente gravi ed in numero inusuale” nei maschi adulti o anziani, registrati tra la fine di dicembre e le prime settimane di gennaio, considerando che i numeri quest’inverno sono stati il triplo o il quadruplo di quelli usuali per le banali sindromi influenzali annuali;
2. i casi dei deceduti a casa o in ospedale che non hanno mai fatto un tampone, soprattutto nei periodi iniziali del contagio, considerando che questo campione può essere enormemente disomogeneo perché comprende tipologie di pazienti molto diverse, per le numerose combinazioni possibili dei vari sintomi.
Tanti certificati di morte da fine dicembre a fine marzo che riportano come causa una “insufficienza cardiaca in paziente con Covid-19” probabilmente dovrebbero cambiare la dicitura della causa di morte in “insufficienza cardiaca da Covid-19”, dopo la dimostrazione scientifica inoppugnabile che il muscolo cardiaco è uno degli organi principali colpiti dal virus.

In sintesi: la possibilità di utilizzare i dati attuali dei contagiati e dei deceduti per fini statistici o epidemiologici (per dedurre le percentuali dei contagiati sulla intera popolazione ed il tasso di letalità) è fortemente dipendente dalle modalità con le quali tali dati sono stati raccolti: questo problema è ben conosciuto nella ricerca medica ed è chiamato tecnicamente “bias di selezione”. In particolare l’Italia ha cambiato diverse volte le indicazioni sul tipo di persone a cui andava fatto il tampone, che spesso non era neppure materialmente disponibile. La Corea del Sud, che ha usato più tamponi di tutti gli altri Stati, probabilmente dispone dei dati migliori al mondo sui quale si possono fare valutazioni epidemiologiche. Anche l’Italia ha una massa di dati non trascurabili, ma per ottenerne informazioni utilizzabili pienamente dal punto di vista epidemiologico dovrà riclassificare molti casi. Il dibattito su questi argomenti si è molto vivacizzato ed è destinato ad esserlo ancora per molto.

UN TERRIBILE SCONOSCIUTO LA CUI SCONFITTA SI AVVICINA

Tre mesi fa questo virus era completamente sconosciuto. Nessuno si aspettava una epidemia così contagiosa e veloce. Teoricamente sarebbe stato tassativo inizialmente circoscrivere i contagiati e disporre subito delle mascherine e dei tamponi specifici; purtroppo non c’è riuscito quasi nessuno, eccetto Taiwan e Corea del Sud, come abbiamo visto. Ai primi segni di insuccesso della fase del contenimento sarebbe stato indispensabile predisporre velocemente la quarantena dei primi casi e di tutti i loro contatti, misura molto impopolare e facilmente criticabile dagli avversari politici, almeno negli Stati democratici. Inoltre si sarebbe dovuto rimediare nel giro di pochi giorni o settimane all’inadempienza alle richieste di OMS e UE di approntare per tempo scorte di materie sanitario, istruzioni operative e i Piani di Contingenza.

Ma non finisce qui: i sindaci ed i governatori regionali più zelanti avrebbero dovuto occuparsi di progettare e realizzare alla massima velocità i nuovi ospedali dedicati esclusivamente alle cure intensive, fornirli di personale qualificato ed esperto ed attrezzature sanitarie ed organizzarne gli accessi e la rete dei trasporti dal territorio in modo perfetto.

Troppi problemi da risolvere contemporaneamente in un tempo strettissimo: praticamente una mission impossible, di quelle che finiscono bene solo nei film.
Invece non è impossibile, perché Taiwan ci è riuscita, perfettamente: aveva tutto pronto, in sonno, dai tempi del dopo-SARS, nonostante non faccia parte della UE e non sia riconosciuta come stato indipendente dall’OMS. La storia l’ha premiata. Il suo Ministro della Sanità ed il suo Capo della Protezione civile meriterebbero un premio Nobel per aver salvato con il loro lavoro, ed il loro esempio per gli altri popoli, centinaia di persone; o almeno la copertina del Times come personaggi dell’anno.

In questo panorama cupo, non mancano le speranze.

Una prima buona notizia ci arriva dal Canada. Serve una breve premessa per capirla: la porta principale di accesso intra-cellulare del virus è un recettore di membrana (l’ACE2, incaricato di regolare la pressione arteriosa) al quale si agganciano le spicule della corona del virus, che poi fonde la propria membrana con quella della cellula umana agganciata, che equivale a dire che vi sta entrando; da qui inizia la fase della moltiplicazione del virus a spese della cellula ospite e quindi la sua diffusione esterna. Ebbene il prof. Josef Penninger, genetista ed immunologo molecolare della Università canadese del British Columbia, ha presentato a Vienna, alla Conferenza Internazionale della Società Europea di Radiologia (ERS), la sua ricerca su un farmaco costituito da molecole libere, solubili, sintetiche, identiche al recettore ACE2, che saturano le spicule del virus ed impediscono che si attacchino alle cellule umane; lo ha già dimostrato sulle cavie di laboratorio. Un virus che non entra nelle cellule non fa nessun danno.

La seconda buona notizia viene da Andrea Gambotto, ricercatore italiano dell’americana University of Pittsburgh School of Medicine, che ha pubblicato l’esito dei primi test con esito positivo di un vaccino (finalmente se ne parla!) sulla rivista EBiomedicine (versione elettronica della storica e gloriosa rivista medica inglese Lancet). Il vaccino consiste in un set di micro-aghi solubili, indolori da iniettare sotto pelle come i vaccini classici; questi aghetti rilasciano le proteine isolate dalle sole spicule della corona del virus che stimolano una normale reazione immunitaria nei  topi vaccinati: è già dimostrato che producano anticorpi efficaci. Sono in corso i procedimenti per ottenere il permesso sulla sperimentazione umana presso la Federazione dei Farmaci Americana. Appena i ricercatori riceveranno l’autorizzazione, entro un mese inizieranno la prima sperimentazione su individui volontari. Quando il vaccino produce anticorpi efficaci contro i virus, le difese immunitarie anti-corpali o cellulari sistemano tutto e spazzano via il virus.

La terza buona notizia arriva dall’Università di Lubecca in Germania, dove si sta sperimentando la molecola “3B” che blocca l’enzima proteasi virale che è quella che il virus usa dopo essere entrato nella cellula dell’ospite per ordinarle di replicarlo. Un virus che non si moltiplica è bloccato non causa altri danni cellulari ed è bloccato nella sua azione. Ancora altri gruppi di ricercatori stanno lavorando per contrastare con farmaci la “bufera infiammatoria”, che è una temibile evoluzione infausta in pazienti predisposti alle malattie autoimmuni contagiati dal Covid-19, che sviluppano paradossalmente un eccesso di difesa immunitaria contro il virus, che causa molti più danni che benefici. Raramente in Medicina si è visto un tale fermento di idee nuove nella ricerca farmacologica ed un tale entusiasmo da parte dei ricercatori che vi si dedicano.

CONSIDERAZIONI FINALI

Anche se c’è molta attesa di riaperture soprattutto nel settore industriale e delle piccole imprese, è ancora prematuro fare previsioni di ritorno alla normalità e neppure di riduzione delle rigide misure di contenimento delle infezioni. Tuttavia, se le fasi ulteriori delle ricerche confermeranno i risultati preliminari di cui sopra, questi filoni di ricerca potrebbero risolvere in modo spettacolare i contagi anticipando di parecchi mesi la fine delle quarantene ed il blocco delle attività lavorative. I ricercatori di Pittsburg dichiarano prudentemente a proposito del vaccino: “Contiamo di inserirlo insieme al vaccino dell’influenza a fine anno”.

Si deve riflettere sulla durezza delle misure prese in Cina, Taiwan e Corea del Sud. I metodi dei governi democratici occidentali hanno una lentezza dovuta al dibattito politico che l’emergenza richiede ma di fatto, i nostri governi non si sono organizzati in tempo e non prevedono nelle loro costituzioni norme straordinarie da adottare in casi di emergenze simili, per il comprensibile rischio che prendano il potere dittature (come quelle a noi vicine di Turchia e Siria). Anche per questi motivi le misure adottate in tutto il resto del mondo democratico sono state intempestive e contraddittorie. L’Europa è stata ingiustamente accusata di essere stata colpevolmente assente da questo terribile scenario; pochi ricordano a sua discolpa che la gestione della Sanità Pubblica è una competenza sovrana degli Stati membri come risulta dagli articoli 3, 4, 6, 168 del Trattato di Lisbona, nella parte che riguarda il funzionamento della Unione Europea.
Queste palesi incapacità dei governi nazionali di gestire in modo uniforme e coordinato una doppia emergenza sanitaria ed economica causata da questa pandemia dovrebbero far riflettere se invece non sia opportuno delegare al livello sovranazionale dell’UE le decisioni strategiche comuni e il  coordinamento delle misure necessarie per contrastare crisi epocali di questa portata.

Alla fine della fase acuta dell’emergenza sanitaria dovremmo analizzare tutti i nostri errori di gestione della crisi e finire di fare tutto quello che è rimasto incompiuto. Spero che allora tutti avranno compreso l’importanza delle Istruzioni Operative, dei Piani di Contingenza e delle scorte di materiali richiesti tempestivamente dall’OMS e dalla UE, dei punteggi del GSH Index, come dell’implementazione continua del nostro Sistema Sanitario Nazionale del quale sono fiero di fare parte. Non si tratta di un esercizio teorico. Queste misure sono un mezzo formidabile per fare sopravvivere il nostro popolo, la nostra cultura e la nostra ricchezza economica alle prossime catastrofi di questo genere, inevitabili, come la Storia insegna.

Gian Alberto Soardi
medico, ricercatore di epidemiologia oncologica 
e fattori di rischio connessi, osservatore delle politiche sanitarie

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