Assobio sui controlli: assurdità nel decreto

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Dopo l’approvazione da parte del governo del decreto sui controlli della produzione biologica, serve un franco confronto per rimettere le cose a posto. Lo chiede al ministro Martina Assobio, l’associazione che raccoglie le 85 maggiori aziende italiane impegnate nella trasformazione e distribuzione di prodotti bio.

“Spiace che le imprese biologiche – sottolinea il presidente di Assobio Roberto Zanoni – debbano essere le uniche costrette a cambiare organismo di controllo, mentre quelle ben più numerose di settori più rilevanti per entità economica e, va detto, infrazioni, non sono soggette a questo obbligo bizzarro. Anche i prodotti DOP e IGP hanno un marchio di qualità europeo, e nel 2016 l’Ispettorato centrale repressione frodi ha rilevato tra loro un 22,9% di campioni irregolari. Nell’ambito dei vini DOCG, DOC e IGT ben il 35,2% degli operatori ha presentato irregolarità, segnale di un sistema di controllo quantomeno con carenze e lacune. Di contro, nessun campione di ortaggi, frutta o prodotti lattiero caseari biologici aveva tracce di sostanze non ammesse. Se su un sistema di controllo si doveva operare con priorità assoluta, non sembra quello del biologico, che pure è migliorabile, come da tempo sosteniamo: meno carta e meno burocrazia, più banche dati e informatica, maggior efficacia nel contrastare i pochi operatori senza scrupoli che potrebbero cercare di infiltrarsi per trarre vantaggio del brillante andamento del settore”.

E aggiunge il vice presidente Massimo Monti: “Tra le criticità del provvedimento segnaliamo una sottovalutazione del funzionamento del mercato internazionale biologico. Si tratta di un mercato in costante e forte crescita, che vede l’Italia come maggior esportatore al mondo; anziché sostenerlo, lo schema di decreto rischia di ostacolarne lo sviluppo. Con alcuni Paesi la Commissione europea ha stretto accordi di equivalenza, e quindi i prodotti possono essere esportati senza particolari formalità, ma per altri, anche di assoluto rilievo, come il Brasile o la Cina (la cui domanda è in forte aumento), non ha provveduto a farlo. In questi Paesi, e per alcuni prodotti anche negli Stati Uniti, le imprese italiane possono esportare solo con la certificazione di un organismo di controllo autorizzato anche dalle autorità del Paese di destinazione, oppure che operi in accordo con gli organismi locali. In sostanza, per accedere ad alcuni mercati esteri è indispensabile sottoporsi al controllo e alla certificazione di un determinato organismo di controllo: imporre alle aziende di cambiarlo ogni cinque anni può avere effetti devastanti sul nostro export. Per non parlare della necessità di destinare al macero etichette e confezioni: per legge riportano i riferimenti all’organismo responsabile dei controlli e a ogni cambio andrebbero gettate, un assurdo dal punto di vista ecologico, per non dire dei costi. Per garantire l’assenza di conflitti di interessi tra operatori e organismi di controllo – continua Monti – ci son già meccanismi efficaci. Gli organismi sono obbligatoriamente accreditati da Accredia, l’ente italiano di accreditamento (di cui il Ministero delle politiche agricole è socio e di cui presiede gli organismi in ambito agro-alimentare), sono autorizzati a operare dallo stesso Ministero dopo un’istruttoria che accerta l’assenza di conflitto d’interessi oltre a idoneità morale, imparzialità, esperienza, competenza, adeguatezza di strutture e personale. Il loro programma annuale di attività è vistato dal ministero, che vigila su ogni loro attività assieme a Regioni e Province autonome. Se dalla vigilanza pubblica emergono ombre, il ritiro dell’autorizzazione dell’organismo è senz’altro dovuto, ma se a suo carico non si rileva alcuna irregolarità, perché costringe le aziende a ricominciare da capo ogni cinque anni l’iter di certificazione? È la negazione della semplificazione e intralcia lo sviluppo del settore”.

Nella foto, Roberto Zanoni, presidente di Assobio

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