Sono necessari ritocchi alla nuova normativa europea

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L’applicazione di un nuovo quadro normativo implica un sostanziale adeguamento, oltre che delle strutture produttive, anche dell’approccio di soggetti che responsabilmente intervengono in virtù del nuovo disposto legislativo.

Sembra ieri che venne pubblicato il Reg CE 834/2007, entrato in vigore il primo gennaio 2009, e tutt’ora molti aspetti necessitano di riflessioni, interpretazioni e adeguamenti; infatti il precedente e primo regolamento in materia di produzione biologica, il Reg CE 2092/91, rimase in vigore per 18 anni, nonostante le ripetute e necessarie modifiche e integrazioni.

Ora ci troviamo alle prese con una nuova proposta legislativa, pubblicata lo scorso 24 marzo, frutto della pubblica consultazione avviata e conclusa nel 2013 che ha come obiettivo il superamento dell’attuale regolamento con la pubblicazione di un nuovo regolamento entro il 2017. Le motivazioni che hanno portato la Commissione UE a superare l’attuale 834/07, dopo soli 5 anni di operatività, consistono nella perdita di competitività delle produzioni europee favorendo una maggiore corrente di import, la necessità di semplificare il quadro burocratico-amministrativo, favorire e ridurre i costi a carico delle piccole aziende, migliorare il livello del sistema di controllo e certificazione, favorire una maggiore conoscenza n ei confronti dei consumatori.

Macro obiettivi che hanno condotto la Commissione a predisporre un piano d’azione specifico, ma che non vengono affrontati con convinzione nella proposta legislativa pubblicata.

Nel poco spazio a disposizione cercherò di evidenziare gli aspetti più importanti e che hanno una diretta incidenza sull’attività di certificazione.

Lo scopo e campo d’applicazione non cambia in quanto le operazioni di ristorazione collettiva rimangono escluse e non vengono prese in considerazione le attività dedicate al no-food quali i settori del tessile e della cosmesi.

Come curiosità, all’allegato I viene elencato anche il sale marino (?). Viene introdotta la certificazione di gruppo a favore dei piccoli produttori che non possono avere più di 5 ettari cadauno senza tenere in considerazione che, ad esempio, 4 o 5 ettari di serricoltura non possono certamente essere considerati piccoli produttori e non si tiene in conto che la struttura fondiaria fra i vari paesi dell’UE è molto differente. Sempre in questo ambito non si specifica nulla in materia di chi ha la responsabilità della certificazione, ovvero chi è il “portatore” del certificato, se e come deve essere strutturato il controllo o il monitoraggio interno al gruppo, se un’azienda può partecipare a più gruppi e quindi è soggetta a più controlli interni e di parte terza e, qualora venda i prodotti al di fuori del gruppo, se lo può fare e cosa accade in questo caso. Nell’articolo in cui si parla di gruppo di operatori si specifica che la Commissione interverrà con atti delegati per meglio specificarne il funzionamento. Sulla “certificazione di gruppo” il COPA-COGECA ha già espresso il suo parere contrario.

L’intera azienda deve essere condotta secondo il metodo biologico, il periodo di conversione può essere ridotto solo in caso di trattamenti non ammessi ma obbligatori per ragioni di protezione da parassiti da quarantena o per ragioni scientifico-sperimentali e per nessun altro motivo, salvo che i terreni non fossero a riposo per un periodo pari almeno a quello previsto per la conversione (2 o 3 anni).

Sparisce la deroga per l’utilizzo delle sementi non ottenute con il metodo biologico, al massimo queste possono provenire da un appezzamento in conversione all’agricoltura biologica.

Relativamente al settore zootecnico spariscono tutte le deroghe che in questi anni hanno permesso alle aziende dedite all’allevamento di gradualmente avvicinarsi al metodo biologico; si tratta di un settore che non può modificare la propria struttura repentinamente e che, proprio per questo motivo, in Italia non ha aderito così massicciamente al biologico.

In materia di controllo ‘e certificazione’ tutto viene delegato al nuovo Reg CE 882/2004 in materia di controlli ufficiali, in preparazione da mesi e su cui eravamo intervenuti lo scorso anno, specificando che si passa da organismi di controllo accreditati ai sensi della Norma ISO 17065 a organismi “delegati” ai sensi della Norma ISO 17020 in cui il potere dell’Autorità di Controllo è destinata ad aumentare superando di fatto il significato della certificazione facendo divenire ufficiale un controllo che invece è sempre stato ispirato al miglioramento della qualità di processo e di prodotto.

Un principio e un processo che certo non va nella direzione di migliorare il livello del controllo e soprattutto dimentica il significato vero della certificazione che consiste nell’accompagnare in un percorso di miglioramento il sistema produttivo. Aspetto quest’ultimo che ha caratterizzato il metodo di produzione biologico in questi 24 anni di attività regolamentata. La ISO 17020 definisce infatti principi, requisiti e criteri degli organismi di ispezione e non di quelli di certificazione.

La proposta di regolamento prevede infine una gran quantità di atti delegati di esecuzione al di fuori del percorso di confronto con il Parlamento Europeo. Questo porta ad un eccessivo rischio di discrezionalità e di squilibrio con gli altri poteri legislativi a seguito del trattato di Lisbona.

L’Italia, nell’attività di consultazione per giungere alla definizione del nuovo regolamento, deve giocare un ruolo di primo piano sia per la leadership produttiva che detiene in ambito europeo sia per il fatto che il prossimo semestre la vedrà guidare le istituzioni europee. Per questo il settore e le istituzioni di qualsiasi livello devono fare gioco di squadra per rappresentare e difendere gli interessi di tutti gli operatori.

Fabrizio Piva

(fonte: newsletter CCPB)

 

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