Piva: cresce la domanda di bio, non la produzione

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Dall’ultimo report di ISMEA, dedicato ai prodotti biologici, si evince che anche per il 2011 il consumatore italiano li ha premiati facendo registrare un incremento nella domanda, rispetto al 2010, pari all’8,9% in valore. Un dato interessante se lo confrontiamo con il consumo alimentare complessivo (-2%) e con la profonda crisi economica che sta interessando tutto il mondo occidentale.

Se, però, raffrontiamo questo dato con i dati produttivi del settore, l’ottimismo si riduce un pochino poiché a livello nazionale il numero degli operatori dediti al biologico e la superficie coltivata secondo il metodo biologico sono stabili, se non leggermente volti al ribasso, se li confrontiamo con i dati del 2010.

Ciò significa che a fronte di un incremento deciso della domanda il nostro sistema produttivo non sta seguendo la crescita. Il nostro Paese, infatti ha perso la leadership in termini di superficie biologica e la sua incidenza relativa sul totale della superficie biologica europea è passata dal 16,9% del 2005 all’11,1% nel 2010. Ciò sta a testimoniare che noi siamo fermi e gli altri partner europei crescono; fra i Paesi fondatori dell’UE solo l’Italia non cresce.

Potremmo anche condensare ciò in un motto: ‘la domanda di biologico cresce ed il sistema produttivo non si adegua’. Perché ciò accade? Perché la produzione segue a fatica un settore, uno dei pochi, che ancora sta crescendo a ritmi sostenuti? Manca una visione sistemica? Certamente. Le motivazioni sono molteplici. Permangono problemi organizzativi nella composizione delle filiere e manca la volontà di costruire le stesse filiere a partire dalla produzione primaria che spesso vede svilire il proprio impegno a vantaggio di produzioni lontane, che poi magari si scopre ‘poco biologiche’.

Nella stragrande maggioranza dei casi la differenza di prezzo esistente fra i prodotti biologici e gli analoghi convenzionali non giunge quasi mai alla produzione agricola. Non sono mai stati affrontati fino in fondo i temi sul piano tecnico-agronomico per un miglioramento dell’efficienza produttiva, con progetti di ricerca e di sperimentazione tali da rendere maggiormente economica la produzione biologica. Sul piano burocratico gestionale, il sistema produttivo è stato oggetto, e lo è tuttora, di un peso eccessivamente gravoso con oneri impropri che non hanno pari in altri Paesi europei.

Il settore viene ancora visto con sospetto e non vi è una decisa adesione in termini di politica agraria nazionale. Uno dei pochi settori che sta dando soddisfazioni economiche non è stato considerato quale leva per migliorare le condizioni economiche del Paese.

Questo vale anche per l’organizzazione del sistema di controllo e certificazione le cui scelte sono in capo all’Autorità Centrale (MIPAAF) ed alle Regioni. Un sistema di garanzie poco organizzato, poco coordinato e poco efficace non aiuta a far crescere il settore cui è rivolto.

La mancanza di coordinamento con Accredia, ente unico nazionale di accreditamento, l’incomunicabilità reale fra Autorità di vigilanza ed organismi di certificazione, le incomprensioni quotidiane su ‘chi fa che cosa’, la supposta superiorità del sistema di vigilanza sull’attività di certificazione senza accorgersi che il sistema è univoco e dettato dalla normativa comunitaria e nazionale sono elementi che contribuiscono a fiaccare l’entusiasmo e le forze di un sistema produttivo già provato da una situazione economico-finanziaria difficile.

La politica deve accorgersi che il biologico è una carta fondamentale per l’agroalimentare italiano e fare scelte conseguenti sia in termini economici che organizzativi.

Fabrizio Piva

amministratore delegato CCPB

 

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