Margherita Hack e la negazione del biologico

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Nel bel libro ‘La Terra che nutre’, pubblicato da Giunti in occasione dei 25 anni del consorzio il Biologico, compaiono 22 contributi di altrettanti eminenti personaggi sul tema della sostenibilità e dell’agricoltura biologica (m’immagino che i contributi dovessero essere proprio 25 e che 3 eminenti personaggi non abbiano risposto in tempo per la pubblicazione).

Tra questi contributi quello di Margherita Hack, la famosa astrofisica di origine fiorentina, è forse il più originale e nello stesso tempo il più problematico. La scienziata novantenne è vegetariana, pensa che il futuro della nostra civiltà passi per la negazione della carne, e tuttavia, nello stesso tempo, pensa che il futuro passi dagli OGM, una bestemmia in una pubblicazione pensata per celebrare il biologico.

La negazione di qualche cosa però, nel caso specifico del valore del biologico, non vuole dir nulla se non si capisce il perché, la ragione che ci sta dietro. La risposta della Hack alla domanda posta dal curatore del libro: l’agricoltura biologica è una delle soluzioni possibili (per la sostenibilità dell’agricoltura, ndr)?, lascia dell’amaro in bocca ma forse anche perché non è sufficientemente articolata. Eppure è su temi di rottura come quelli affrontati da Margherita Hack che ci dovrebbe essere un dibattito che invece non vediamo. Il nocciolo della questione, per un personaggio come la Hack, è la ricerca scientifica.

Ora forse, la grande scienziata non considera che l’agricoltura biologica di oggi poggia su una ricerca scientifica assolutamente non all’altezza della situazione, è quasi orfana di mamma-ricerca, mentre le multinazionali della chimica, i colossi che ben conosciamo, poggiano su una ricerca che è senza eguali al mondo per mole di finanziamenti messi a disposizione di importanti ricercatori lautamente pagati. Ora, e lo scrive anche la Hack, è il profitto a fare la differenza. Si capisce che l’indirizzo e i modelli lungo i quali la ricerca si muove sono quelli che, presumibilmente, portano ai maggiori profitti per gli investitori.

E’ un meccanismo micidiale, che mette in secondo piano tante cose, tanti valori. Questo ragionamento mi porta ancora una volta ad essere stupito del fatto che le grandi centrali della politica e quindi del finanziamento pubblico – e mi riferisco principalmente a Bruxelles – non riequilibrino un po’ questa situazione, finanziando la ricerca per il biologico visto che nei loro programmi è in primo piano la difesa della sostenibilità ambientale e del biologico stesso. Tenete presente, che la Hack non è per la chimica (‘deprecabile – scrive – è anche l’uso di diserbanti, che ha distrutto una buona parte degli insetti…’) ma per gli OGM, appunto, pensando che esistano OGM ‘buoni’, che farebbero del bene mettendo a disposizione dell’umanità soddisfacenti quantità di cibo.

Ora, non c’è nulla, nessun concetto, che non sia in evoluzione. Ciò vale per lo stesso concetto di biologico. Vale anche per il concetto di OGM? Chi scrive ritiene di no, perché c’è una biodiversità in natura che va salvaguardata, difesa, valorizzata, anche con l’aiuto, anzi forse ‘proprio con l’aiuto’ della ricerca scientifica, prima che sia troppo tardi per il nostro pianeta. E tuttavia credo anche che il dibattito ci debba essere, che il confronto aperto sia il cammino per andare avanti.

Antonio Felice

editor@greenplanet.net

 

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